Tuesday, April 11, 2006


È giunto il momento di tornare.
Certo, questo implica una serie domande: tornare come? Con un esilarante racconto di vita? Con dieci banali righe tanto per farsi viva? Con una singola frase memorabile? No, torno come solo io so tornare.

Era circa un anno fa, quando fui invitata a festeggiare un importante compleanno in un ristorante alla moda. Si trattava di un ristorante giapponese, troppo innovativo per i miei gusti da regina del bucatino, e troppo mondano per i miei modi da principessa della pagliata, ma non mi tirai indietro. Non lo feci nonostante la penuria di abiti decenti che avevo con me, per questo decisi che non appena mi fossi messa a sedere, non mi sarei più alzata fino a cena conclusa.
Il primo intoppo fu proprio sedersi al tavolo, perchè non era un tavolo normale, sarebbe stato banale, era un tavolo a venti centimetri dal pavimento e sotto di esso, nascosto magistralmente, un vano per le gambe. L'arredatore aveva così coniugato l'esperienza giapponese del tavolo a terra con quella italiana dello stare a sedere a tavola. E io che già mi gustavo la scena di una modella anoressica dell'est colpita dai crampi mentre masticava un'alga...
Adagiatami nel mio vano, cercando di nascondere le scarpe da ginnastica, sopperii alla mia avversione per sushi&co. bevendo tre cocktail come aperitivo. Fu la disfatta. Esattamente dopo venti minuti la mia vescica implorava pietà, era giunto il momento del bagno. Allora la mia preoccupazione non furono più le scarpe o i jeans, ma: ce la farò ad arrivare al cesso senza inciampare? ma soprattutto: ce la farò ad uscire dal tavolo? Era una trappola mortale, se avessi fatto pipì là sotto forse non se ne sarebbe accorto nessuno. Comunque, mi liberai dalla morsa del tavolo, mi alzai, e gentilmente mi rivolsi al cameriere: "Saprebbe indicarmi la toilette?" "Certamente signora, è in fondo, alla destra del tatami". Non posso sapere quale fu la mia espressione, ma nel mio "Grazie" c'era tutta la perplessità che mi invadeva: che cazzo era il tatami?! Non mi arresi e andai dritta in fondo e decisi di varcare la prima porta che incontrai. Sicura che fosse il bagno, entrai come John Wayne entrava nei saloon, spalancando la porta, che, sfortunatamente, si rivelò essere quella della cucina e mi ritrovai faccia a faccia con il cuoco giapponese e un salmone martoriato. "Mi perdoni, credevo fosse il bagno" "Direi di no (gentile Mr.Sushi!), il bagno è la porta nera". Così finalmente entrai al gabinetto: accanto alla tazza un vassoio (non chiedetemi a cosa servisse),
un cumulo di sassi, e sassi riempivano anche il lavandino. C'è chi sostiene fossero sassi zen. Feci pipì e mi lavai le mani preoccupata perchè il sapone ristagnava sui sassi zen, alla fine erano diventati sassi zen puliti. Detersi i ciottoli, tornai al tavolo e la cena si concluse allegramente.
La fine? Arrivata a casa avevo una fame che avrei dato oro e venduto me stessa per un plebeo piatto di fettucine.